Recensione Manga – Tatari di Kanako Inuki

A cura di Livio

Titolo: Fushigi no Tatari chan – TATARI
Autrice: INUKI Kanako
Categoria: Shoujo

:: Il manga in Giappone :: 
Casa editrice: Seirindo Visual co. Ltd.
Numero di volumi: 7 -concluso
Anno di pubblicazione: 1991
Rivista di serializzazione: KC horror

:: Il manga in Francia ::
Titolo: Tatari – L’étrange petite
Casa editrice: Delcourt
Numero di volumi: 6, serie conclusa
Anno di pubblicazione: 2007
Collana: Také

:: L’autrice ::
Celebre in patria con il titolo di “Regina dell’horror”, Kanako Inuki nasce nell’Hokkaido ma presto si trasferisce a Tokyo con la sua famiglia. La sua passione per i manga e per le opere del Maestro Tezuka, accompagnata dall’attrazione per le tematiche orrorifiche, la portano a maturare il desiderio di imporsi come mangaka e di affermarsi nel campo delle produzioni horror. Il suo debutto avviene con la casa editrice Asahi Sonorama, e ben presto firmerà contratti con Kodansha, Seirindo, collaborando contemporaneamente con numerose riviste di genere.
In Occidente i suoi lavori sono pubblicati in Francia dalla casa editrice Delcourt, e in America dalla Dark Horse e dalla CMX. Per gli appassionati del genere, dunque, c’è un vasto e nutrito catalogo di opere: Present, School zone, Tatari, La femme défigurée (Kuchisake onna densetsu).

Storia
La piccola Kamino Tatari non dev’essere certo nata sotto una buona stella: nomen omen, direbbero i latini, visto che kami no tatari significa, in giapponese, maledizione divina.
Se a questo si aggiungono le sue fattezze, sgraziate e goffe, e la sua incapacità a relazionarsi in maniera paritaria con i suoi compagni di classe, al lettore sarà ben chiaro il leit-motiv di tutta l’opera: Tatari sarà vittima designata del bullismo e della crudeltà dei suoi coetanei (ma non solo).
Tatari annota sul suo diario segreto le sue giornate, che non sono semplici. Nonostante il bisogno di avere degli amici e la sua indole disponibile e gentile, subirà sempre più spesso umiliazioni e crudeltà dai suoi compagni di classe e, talvolta, anche dai suoi “superiori”, come i professori.
Tatari avverte l’ingiustizia delle vessazioni che subisce, e quando davvero non riesce più a sostenerne il peso e la violenza, ecco che prende in lei il sopravvento la sua natura demoniaca e sovrumana: come impossessata da una forza superiore, come custode di poteri e misteriose formule, sotto l’effetto di una trance, Tatari getta la sua maledizione sui suoi aguzzini, i quali – per la legge del contrappasso – subiranno metamorfosi, soffriranno pene disumane, in un processo di espiazione del dolore da loro arrecato, spesso a prezzo della vita.
Una creatura a metà tra la Dawn Weiner di Welcome to the dollhouse e la distruttiva Carrie di Stephen King: anche qui, si dipinge un personaggio estremo alle prese con un mondo altrettanto estremo, strizzando l’occhio ancora una volta a un pubblico più o meno sensibile a tematiche quali l’emarginazione e l’essere diversi in un mondo standardizzato e piegato alle leggi dell’apparenza.

Considerazioni
Chi ormai segue lo SMO da tempo deve aver ben chiaro che lo “shoujo manga” è, in Giappone, un target più che un genere. All’interno di riviste per ragazze, quindi, non è affatto difficile trovare storie dall’impianto meno tradizionale, apparentemente fuori dal canone che in Occidente si è soliti associare a questo tipo di produzioni.
Kanako Inuki arricchisce di fatto la produzione horror a fumetti, e, seppur lontana dall’universo visionario e disturbante del collega Junji Ito, non manca di turbare e affascinare il lettore in più di un’occasione.
La prima impressione che si riceve dalle sue opere rivela pienamente le intenzioni dell’autrice. L’approccio della Inuki non ha pretese verosimili o realistiche, men che mai di denuncia sociale, quantunque i suoi personaggi, esasperati fino al limite e concepiti per essere vittime designate, le potrebbero permettere un maggiore livello introspettivo. Non è questo quello che il lettore troverà in Tatari, ma non è, probabilmente, neppure quanto la sua autrice promette. La sua grafica, già in copertina, è più che una dichiarazione di intenti. Il partito preso è il tema del grottesco, a tratti del ridicolo, spesso del patetico. Il disegno è sempre molto dettagliato, ricco di particolari e dalla regia sempre attenta e calcolata, ma ciò che ancora una volta risulta straniante è il design dei personaggi, deforme e caricaturale.
A conti fatti, il lettore comprende alla fine della lettura le intenzioni ultime dell’autrice: nessuna pretesa di realismo o verosimiglianza, né nel tratto esasperato e grottesco, né in una sceneggiatura al limite del patetico e del sadismo psicologico. L’autrice non lesina le torture inflitte alla piccola protagonista, ma al contempo sembra costantemente ricordarci con il disegno e la sceneggiatura che in fondo “è solo un fumetto”.
Ai fini dell’economia narrativa, si avverte dopo un po’ una sensazione di saturazione, rispetto al cliché della protagonista vessata in maniera violenta e gratuita, e della conseguente reazione malefica e punitrice della stessa, ed è inevitabile finire per trovare, in una struttura di questo tipo, un certo compiacimento morboso (non del tutto estraneo alla cultura giapponese, comunque) che non sempre è facile bypassare a favore di una lettura più distaccata, ma che comunque non inficia l’interesse di quello che si presenta e si propone come un fumetto estremo. In fondo, che senso ha cercare una “ratio” dominante in una creazione horror?

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